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Com'è verde la valle del business legno sul Po

di Marco Alfieri

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3 novembre 2009

Pare semplice a dirsi, ma così ha fatto per una vita Mauro Saviola, il fantasista del legno, pittore di quadri astratti nel (poco) tempo libero, prima di andarsene l'anno scorso, lasciando il testimone al figlio Alessandro. Anche Giovanni Griggio vorrebbe innovare ma chiede incentivi per continuare a produrre macchinari certificati per la lavorazione del legno. Il governo, invece, «non sembra avere occhi che per il settore auto...». Dal legno al legno, dai trucioli lombardi alle pialle venete, ecco una filiera industriale in mezzo al bivio amletico di questi mesi: ripartenza o riflusso?
Viadana, sinistra Po mantovana. Ventimila anime a uno sputo da Boretto, Borgoforte, la guareschiana Brescello, Casalmaggiore, Sabbioneta, Suzzara. Parma è lì a 25 chilometri, Reggio a 30. Nella frazione ricca di Cicognara don Primo Mazzolari è stato parroco. Anche il marito di Grazia Deledda era viadanese: il premio Nobel ci passò molte estati e diversi romanzi, tra cui "Nostalgie", nacquero in riva al grande fiume.

Mauro Saviola, classe '38, finché ha potuto ha sempre lavorato. A fine anni Cinquanta commerciava in pioppi. L'attività è un po' precaria in quegli anni di boom. Nel 1961, durante un viaggio in Germania, Saviola scopre un impianto miracoloso dove vengono prodotti pannelli partendo da rami d'albero triturati e pressati. Il pensiero corre subito alla moltitudine di rami e tronchi che si accumulano davanti a casa sua lungo le rive del Po. Quel proto-riciclo potrebbe essere un business anche in Valpadana.
Acquistare l'impianto e portarlo a Viadana costa 350 milioni di lire: una cifra astronomica. Qualcosa riesce a racimolare, qualcosa si fa prestare dal Mediocredito lombardo che intuisce in quel mantovano testardo le stigma del pioniere di razza, per il resto si fa fare credito dai tedeschi. L'intuizione di non usare il legno vergine ma di riciclo si dimostra alla lunga vincente. Nel 1963, con il fratello e un cugino, sforna il primo pannello truciolare.

«Sono nato in un pioppo», amava scherzare il signor Mauro. È la nascita della Sadepan, il nucleo originario del gruppo Saviola. «Non tutto filerà liscio», ricorda oggi Alessandro, 36 anni, sposato con Veruschka, una figlia di un anno e mezzo (Ljuba), maturità scientifica nel cassetto nonché erede designato che da un anno governa l'impero creato da papà Mauro, dopo essersi fatto le ossa in fabbrica e poi in ufficio. «I tecnici all'inizio erano contrari e la commercializzazione non sempre ottima». Gli scarti sono materia sporca, piena di impurità. «Producete pannelli dall'immondizia, ci accusavano. Ma mio padre ha tirato dritto, sempre, raffinando via via la pulitura, testardo e fedele al motto delle nostre parti: del maiale, non si butta via niente». Già, niente.

Oggi il gruppo Saviola impiega 1.700 dipendenti, fattura 850 milioni di euro, ed è fornitore di grandi catene come Faram, Scavolini e Ikea. Ogni anno raccoglie oltre mille treni di legno vecchio in giro per l'Europa; realizza 5 milioni di mobili in kit; produce 1,5 milioni di metri quadri di pannelli truciolari e 55 milioni di metri quadri di pannelli nobilitati. Salvando dall'abbattimento l'equivalente di 10mila alberi ogni giorno. La costellazione societaria è formata da sedici aziende sparse tra Viadana, Sustinente, Soresina, Mortara, Montecalvo in Foglia, Refrontolo, Radicofani e poi, all'estero, a Genk (Belgio), Valecobois (Francia), Buenos Aires (Argentina) e Biorec (Svizzera).

Ma soprattutto, Saviola è l'unica azienda al mondo a utilizzare al 100% legno riciclato nella produzione di pannelli truciolari. La svolta eco-tecnologica parte nel 1997, quando gli impianti di pulitura del legno sostituiscono le vecchie linee di macinazione dei tronchi. L'azienda si riconverte integrandosi a monte con la rigenerazione della materia prima: una fabbrica nella fabbrica che apre dieci anni in anticipo sulla svolta obamiana alla nuova frontiera green. Dal pannello da riciclo alle resine a più bassa emissione e ai fertilizzanti il passo è breve. «Per tenere insieme i trucioli mio padre usava le colle a base di urea comprate dalla Montedison e dalla Sir - racconta il giovane Alessandro -. Poi quando i due colossi alzano il prezzo, non si fa intimidire ma si affranca mettendosi in proprio anche sulla chimica». Era il 1973. Risultato? Ogni anno il gruppo di Viadana produce 850mila tonnellate di resine industriali, anche per il mercato tedesco; 750mila tonnellate di formaleide in parte utilizzata internamente per le resine e in parte venduta alle industrie chimico-farmaceutiche. Quattromila tonnellate di tannino, ricavato dal legno di castagno e impiegato nell'industria delle pelli e 26mila tonnellate di sazolene, che è un fertilizzante a lenta cessione di azoto che fa diventare di un bel verde Wimbledon giardini e campi da golf.

«Con l'ecologia costa meno anche la materia prima, è l'ambiente che si sposa col business - sintetizza Saviola -. Mio padre in fondo è stato un pioniere anche qui: fin dagli anni Settanta girava gli stabilimenti per vedere se tutto era pulito...».
  CONTINUA ...»

3 novembre 2009
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